Gilberto Pozza, ipovedente, è stato il primo a farlo, poi con la figlia Barbara ha fatto crescere la scuderia
Chissà, forse aveva già capito tutto il compianto Emilio Quaranta, quello che chiamavano “il magistrato dei più deboli” per la grande sensibilità in campo sociale, grande appassionato di motori.
Una volta per un impegno di lavoro fu costretto a rinunciare ad un autoraduno e allora pensò di affidare la sua 124 Europe al pilota Bruno Ferrari ed anche al centralinista ipovedente dell’ufficio, chiedendogli di fare da navigatore. Forse perché conosceva bene Gilberto Pozza, uno che frequentava l’Unione italiana ciechi non per essere aiutato, bensì per dare una mano agli altri, sua l’idea di creare un gruppo sportivo ed uno per i giovani.
“Non sapevo che fare – ricorda ancora oggi stupito, - allora mi munii delle più potenti lenti di ingrandimento in circolazione per poter leggere il road book. L’esperienza andò benissimo e tornato a casa mi chiesi: se mi sono divertito io, perché non possono farlo gli altri?”
E’ andato molto oltre Gilberto, proponendo l’esperienza anche ai non vedenti. Una cosa apparentemente da folli, ma sono stati i visionari a far andare avanti il mondo.
Nella sua incontenibile euforia, Gilberto ha trovato conforto nella figlia Barbara, istruttrice di orientamento e mobilità. E’ stata lei a preparare le prime mappe in braille e così agli inizi del Duemila è nato il progetto Mite, unico al mondo, che ha trovato subito importanti sostegni, come quelli dell’organizzatore Ernesto Cinquetti e del presidente della sottocommissione auto storiche Leonardo Adessi.
Loro che si sono attivati per organizzare i corsi e ottenere le licenze, concesse dopo aver conseguito l’idoneità agonistica. Oggi altre agli ipovedenti – che utilizzano un road book ingrandito – gareggiano in tutto il mondo anche i non vedenti della scuderia.
“I piloti mettono a disposizione le vetture, noi i navigatori con disabilità visive, impegnandoci a pagare le spese di trasferta e di iscrizione – spiega Pozza -. Niente favoritismi, né classifiche separate. Come tutti, riceviamo il road book poco prima della corsa. Quando è finita – sorride Gilberto – gli applausi sono più caldi se abbiamo vinto noi”. Succede spesso, oltre i 60 i successi assoluti colti da quando è nata l’iniziativa.
In sicurezza. Si possono affidare la propria e l’altrui incolumità ad un cieco? Lo dicono le cifre, mai un incidente nelle manifestazioni frequentate dalla scuderia Mite. Con la tecnologia le vecchie mappe sono state sostituite da una barra elettronica in braille che rende più veloce l’apprendimento dei dati. Queste vetture, poi, sono principalmente impegnate nelle gare di regolarità, anche se non sono mancate esperienze ai rally, come quella quinquennale al campionato mondiale.
E poi Gilberto Pozza è convinto di una cosa: “I non vedenti sono più affidabili, perché non sono distratti da quanto avviene fuori dalla vettura, il loro grado di concentrazione è altissimo.
Ovviamente il loro inserimento avviene per gradi e vengono avvicinati alle gare con l’aiuto dei piloti più esperti. Aggiungo che le più brave sono donne, come dimostrano a ogni gara Elisabetta Russo, Elisa Moscato e Sonia Cipriani”.
La reciproca fiducia deve essere altissima, immediata la comunicazione, ma una volta affinata l’intesa nasce un legame che nella vita non si interromperà mai più. Sono tante le soddisfazioni raccolte da Gilberto Pozza che oggi, a 71 anni, è ancora sulla breccia.
“L’emozione più viva l’ho provata quando un nostro equipaggio è salito sulla mitica Lancia Fulvia Hf con la quale, contro ogni pronostico, Sandro Munari aveva vinto nel 1972 il rally di Montecarlo assieme a Mario Mannucci. Avercela affidata e, soprattutto averla condotta prima al traguardo, è stata per noi motivo di orgoglio”.
Resta da spiegare il significato dell’acronimo Mite, che in realtà è la traduzione, in quattro lingue (tedesco, italiano, inglese e francese) della stessa parola: mitenainder, insieme, together, ensemble. Perché da soli non si va da nessuna parte, ed è quello che ha sempre detto Gilberto Pozza a chiunque si avvicinasse allo sport, sin dai tempi dell’Unione ciechi: “Porta un amico”. Il migliore di tutti è stato – per tantissimi – proprio questo formidabile pioniere dei tempi moderni. //